domenica 29 maggio 2016

Nuovi eroi

Lo hanno scomodato per decidere se Nibali è meglio di lui.

Lasciate stare Marco Pantani, il posto che ha nel cuore dei tifosi nessuno potrà prenderlo mai, e quello non si misura con i titoli vinti.

Ma la grande impresa di Vincenzo Nibali di ieri, che si innesta di diritto fra le pagine eroiche di questo sport unico, per qualche vecchio appassionato della domenica come me ha rinverdito emozioni antiche, le stesse che Marco ha tante volte suscitato.

Dopo tanti anni mi sono alzato dalla sedia stringendo i pugni per accompagnare uno scatto: dai!, dai!

E' vero, la dea bendata che mai aveva mosso un dito per Marco, questa volta ha aiutato l'audace.

Che però è campione vero, campione unico nella capacità di reagire ai momenti difficili.

Viva Nibali, nuovo eroe.  


sabato 21 maggio 2016

Con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole

Ho letto e ascoltato molto, negli ultimi due giorni.
Ho ascoltato Emma disperata prefigurare il futuro di mancanza. Bertinotti non trovare le parole, e poi rendere un commosso e fraterno ringraziamento, Ferrara mostrare persino sincerità nel dispiacere.
Decine di persone ricordare con gratitudine un rapporto che oltre a personale era anche politico, oltre a politico era anche personale.
Ho letto l'affettuoso resoconto che ha fatto Mimum degli ultimi mesi, la fantastica prosa di Merlo indulgere sui ricordi personali, Rutelli provare a razionalizzare le tre rivoluzioni, Scalfari impegnare addirittura un "caro"(prima di cedere alla solita autoreferenzialità), Sofri tutta la sua intelligenza. Feltri riconoscerlo come il migliore, Folli marcare la differenza con l'antipolitica.
Nel ricordo di Marco Pannella si sono esercitati tutti, chi con il mestiere, molti con intelligenza, tanti con il cuore.
Alcuni ricordi si trovano qui
Difficile aggiungere altro, ma ognuno ha il suo ricordo.

Ci mancherai, Giacinto Pannella detto Marco. Mancherai alle persone di questo paese cui hai regalato smisurata intelligenza e l'impegno generoso e totalizzante di una vita, ottenendone in cambio più spesso meri riconoscimenti verbali, quando non scherno e sufficienza,  invece di quello che chiedevi: voti e risorse per nuove battaglie.
Ora il tributo alla tua grandezza è generale quant'altro mai, fors'anche sincero (per Spadaccia non è ipocrisia, ma l'omaggio che il vizio rende alla virtù). Un riconoscimento che hai certo prefigurato e avresti forse gradito, in cui ciascuno richiama uno o più aspetti della tua parabola, quelli caratterizzanti un rapporto che per tutti, anche chi non ti ha conosciuto, è stato non meno personale che politico.
Quando ero bambino, ti ho conosciuto sentendo mio nonno appellarti come un "pupinat" (forse assistendo incredulo ad un digiuno). Il "pupinat" è una specie di bellimbusto che spreca una sacco di parole invece di dedicarsi alle cose concrete della vita, in primis al lavoro. Era troppa quarantanni fa, perchè tu potessi essere compreso, la differenza antropologica fra l'uomo che tu incarnavi e prefiguravi e la generazione che aveva fatto la guerra: troppa finchè le persone non si scontravano singolarmente con i problemi di cui tu parlavi e ti occupavi, avendo inteso per primo che i temi sociali erano questioni non solo politiche ma addirittura di classe.
Qualche anno dopo, quasi ventenne, assieme a mio padre mi imbattei in un tuo comizio in piazza XX settembre. Rimasi impressionato immediatamente da una presenza fisica che, di per sè imponente, proiettava una personalità capace di riempire da sola la piazza. Ascoltai, per la prima volta, parole come libertà, diritti e responsabilità capaci di sistemarsi e sistematizzarsi in un eloquio che affascinava non meno per la forma che per il contenuto.
Fu inevitabile attrazione a farmi avvicinare alla radio, poi al movimento, in cui ebbi anche una breve parentesi in cui provai a dare corpo a quello che Emma ha definito il tuo più grande insegnamento: pretendere da se stessi quello che si chiede agli altri.
La tua opera ha una ampiezza ed una varietà di sfaccettature che rendono compito improbo tentarne una sintesi. Tuttavia alcuni tratti credo meritino di essere ricordati.
La religione della libertà
Al di là del riferimento crociano da te volutamente cercato, la libertà è certo la parola chiave di un'esperienza politica ma, di più, di una vita. E' interessante rilevare come l'integralità delle conseguenze che ne traevi ti impegnava a dichiararti al tempo stesso liberale, liberista e libertario. La coerenza veniva pagata in termine di solitudine, posto che da noi chi professa posizioni liberiste è agli opposti di chi difende posizioni libertarie.
Il posto nella storia dei laici
Il tuo percorso trae le mosse dall'esperienza universitaria e dalla fondazione del partito radicale nel 1954: nell'ambito quindi del milieu del liberalismo di sinistra, laico, anticlericale e anticomunista che in Italia è sempre stato ultraminoritario, e spesso disperso in mille rivoli e collocazioni, con conseguenze gravi sullo sviluppo civile e morale del Paese. Ti viene rimproverato di non aver preso la guida di questo gruppo facendone una grande forza, preferendo modalità di lotta e di organizzazione divisive, ma non è scontato che i risultati che si potevano ottenere fossero maggiori di quelli poi realizzati.
Le realizzazioni.
Ha riconosciuto giustamente Claudio Martelli nella sua autobiografia che, pur compatito come un lunatico sognatore e velleitario idealista, detieni il record delle realizzazioni, delle battaglie vinte a furor di popolo, di cambiamenti reali nella sfera dei diritti e nell'approccio internazionale ai crimini contro l'umanità e contro la pena di morte. E' così. I diritti civili conquistati con le leggi sul divorzio, sull'aborto, sull'obiezione di coscienza hanno cambiato la vita a migliaia di persone. E c'è all'Aja una Corte penale internazionale, competente per i crimini contro l'umanità la cui istituzione si deve all'azione dell'associazione radicale "Non c'è pace senza giustizia". Volevi consentire alle persone di morire con dignità, impedire l'assassinio di stato, sconfiggere il business della droga delle mafie. Non ti battevi per istituire una detrazione fiscale in più o per fare una variante di una statale, ma per cambiare la vita delle persone ed il corso della storia.
La preveggenza.
E' incredibile verificare come alcune tue intuizioni e battaglie anticipino di venti o trentanni la naturale loro maturazione nel resto della società. I diritti degli omosessuali oggi nessuno li mette in discussione: tu li difendevi negli anni settanta. Le soluzioni antiproibizioniste oggi si impongono nel mondo e persino la Direzione nazionale antimafia le propone in documenti ufficiali: tu ne hai parlato (sempre in termini di riduzione del danno, mai ideologici) già nel 1973. Bisognerebbe interrogarsi se tanta intelligenza delle cose non offra, già oggi, le soluzioni migliori per le battaglie che sono ancora in corso, e per le quali invece dovremo aspettare altri trentanni per vedere riconosciute le buone ragioni
Accanto agli ultimi.
I diritti per i quali ti sei battuto sono quelli degli ultimi, degli esclusi, dei dimenticati, delle persone che talvolta non sanno nemmeno di averli. Hai avuto accanto e scelto come compagni "froci" e pornostar, matti, ex terroristi, drogati, disabili, zingari, vittime della giustizia, malati, carcerati. E quanto ai potenti, come ha osservato ieri Adriano Sofri, sapevano che nell'ora della caduta si sarebbero trovati vicino solo te.
La vita del diritto per il diritto alla vita.
E' singolare che un irregolare come te abbia avuto un rispetto quasi sacro per le regole ed il diritto (motivo tra l'altro dell'incontro con Leonardo Sciascia). Molti dei tuoi digiuni erano finalizzati a pretendere dalle Istituzioni il rispetto di regole che loro stesse si erano date. La vita del diritto, lo stato di diritto le consideravi e difendevi come presidio dei diritti dei singoli. Anche delle istituzioni democratiche e repubblicane hai sempre avuto grande rispetto, combattendo le persone che le rappresentavano in un dato momento per difendere la loro funzione.
Conoscere per deliberare
Questa frase in cui si compendia il funzionamento di una democrazia è nel logo di una delle tue creature, Radio Radicale, unico media in cui è possibile ascoltare integralmente e senza mediazione lavori parlamentari, congressi di partiti, processi, e farsi un'idea con la propria testa. Pensavi che se le cose sono spiegate alle persone, queste prendono la decisione giusta: davi fiducia a tutti noi. Per questo davi così tanta importanza agli spazi televisivi negati, cui attribuivi il motivo del tuo mancato successo elettorale. E la tua ultima grande battaglia, non a caso, è per far diventare il diritto alla conoscenza di cosa fanno i governanti in nostro nome un diritto umano riconosciuto dall'ONU.
L'importanza della parola
Hai scritto pochissimo, parlato ininterottamente. Hai probabilmente il record di durata di un intervento alla camera ai tempi dell'ostruzionismo, hai inventato la maratona oratoria, ovunque andavi prendevi la parola e chi te la toglieva più. I dediti a Radio Radicale come me erano abituati ai tuoi interventi fiume a sorpresa, e soprattutto attendevano la conversazione domenicale con Bordin. Due imperdibili ore nette in cui si partiva dal fatto del giorno e si finiva regolarmente a parlare di quando, nel 1960...  In tv venivi male, Marco: solo nelle due ore domenicali il tuo modo di ragionare "fluviale e addirittura vulcanico", permetteva di comprendere l’unicità, la irripetibilità di un pensiero e di un'azione. E forse è un verso della canzone che ti ha dedicato Francesco De Gregori a descrivere meglio di ogni discorso il tuo percorso: "con un canestro di parole nuove, calpestare nuove aiuole". 
Essere, non avere
Sessantanni in politica, e uscirne molto più povero di quando sei entrato. Per Montanelli "odoravi di bucato". Ma oltre l'onestà, hai avuto la forza di vendere tutto, anche il patrimonio di famiglia, per le tue idee. Te ne vai senza niente, ma con una grande eredità.
Un milione di Pannella
Scrive oggi Laura Cesaretti che a stupire nel leggere i coccodrilli del giorno dopo è la quantità di incontri diversi, su terreni diversi, in occasioni diverse, su campagne diverse che ognuno porta in dote: "sembra che siano esistiti circa un milione di Pannella, da un capo all'altro della politica e della geografia, tenuti insieme da una coerenza dura e brillante come quella delle diverse sfaccettature di un diamante"
Umanesimo e dialogo
L'unico politico che si poteva incontrare per strada, e raccontargli i nostri problemi. Da tutti pretendevi il tu, ed eri capace di ascoltare veramente (nelle pause di quando parlavi tu), stabilendo un rapporto umano. Perchè credevi sopra ogni cosa al dialogo, e chiunque, anche il più reietto o il peggior delinquente, lo ritenevi possibile oggetto di interlocuzione.
Nonviolento
Sei stato un grande innovatore del metodo politico. Molte le novità da te introdotte, basti pensare al referendum e all'ostruzionismo, alle associazioni tematiche. La maggiore però è il ricorso alla nonviolenza gandiana, che ti ha portato ai cento e più digiuni, a mettere in gioco il tuo corpo non per morire ma per vivere. Tema complesso e motivo non ultimo di molte divisioni all'interno del piccolo gruppo di persone che ti è stato accanto, questo. Credo sia importante ricordare che hai parlato di nonviolenza in anni in cui la violenza (rivoluzionaria o meno) era data per scontata nella lotta politica, oltre che ampiamente praticata, contribuendo a redimere una generazione.
Crono e cupio dissolvi
Ti hanno molte volte accusato di "mangiare" le tue creature (politiche) non appena assumevano dimensione tale da poterti infastidire, incapace per narcisismo di dare forma ad una struttura politica che potesse prescindere dalla tua persona. E' vero che non hai avuto (programmaticamente) la capacità di costruire un movimento che acquistasse un consenso stabile e significativo; ma le tue vittorie le hai ottenute con un plebiscito, ed il Partito radicale è l'unico che è sopravvissuto alla prima repubblica, il più antico partito italiano. Alcuni dei presunti mangiati, poi, erano veramente indigesti.
Non era antipolitica
Alle ultime politiche il Movimento cinque stelle ha praticamente realizzato il tuo sogno: una forza antiregime che, senza bisogno di spazi televisivi, conquista un consenso immenso. Ma la differenza immensa che ti separa dall'antipolitica, ricordata anche ieri dai commentatori più accorti, è in una cultura e in un metodo nel quale ci si può sempre ri-conoscere, e nella voglia e capacità di costruire.

Molto altro ho tralasciato: il federalismo europeo, la svolta transnazionale, la polemica contro il pacifismo, le battaglie contro la pena di morte, la giustizia giusta. La disponibilità ad allearti con chiunque condividesse un certo percorso in un dato momento. Spes contra spem e la religiosità contro le gerarchie.
Ma forse bastava mutuare per te, che forse passata l'emozione sarai finalmente riconosciuto come un padre della patria, le parole che Bocca spese per Pasolini: diamogli almeno la stima intellettuale che merita (su diamogliela cuori spugnosi e cervellini esangui), diciamolo che è il migliore di tutti .
Forse la prolissità (prevedibile visto l'argomento) poteva essere sostituita da un epitaffio:

Ci ha lasciato Marco Pannella
maestro di pensiero e di azione
ha speso la sua vita per i diritti degli altri
spargendo il seme della libertà. 

Ciao Marco: parzialissima antologia dei ricordi


Il manifesto politico

Il ricordo di Sofri

Facci: Pannella era un uomo che amava troppo

Omaggio di Ferrara: il colosso che sputava fuoco

Gli ultimi giorni raccontati da Mimum

Il giocoliere della lingua

Il ricordo di Taradash

Bordin su La Nazione

Scalfari: addio caro Marco

Spadaccia commosso

La fantastica prosa di Francesco Merlo

Tutto Pannella sul Foglio

Il maestro di Laura Cesaretti

Il ministro Orlando: lo scomodo necessario

Bordin parla della conversazione

Il ricordo al senato con il bel discorso del Ministro Orlando

Intervista a Caporale

Il comizio a Udine

Le 10 battaglie

Le Frasi

martedì 3 maggio 2016

Non è un film

E' vero, somiglia molto alla sceneggiatura di un film della Disney tipo "Il maggiolino tutto matto". Ma più che un film è una favola il piccolo Leicester che sbanca il campionato più ricco del mondo.

Tutto quello che c'è da dire è in questo editoriale della Gazzetta.
Per il New York Times è la più grande impresa sportiva di tutti i tempi.
Per gli amanti del calcio d'antan uno spiraglio di speranza .
Per i tifosi di tutte le piccole squadre del mondo, è un motivo per crederci.  
Le parole di Ranieri ben spiegano come si tratti di una vittoria il cui significato non può che travalicare quello meramente sportivo: "L'unica dedica che posso fare a tutti quanti è dirgli di crederci, provateci non solo nel calcio ma in tutti i campi della vita"


Leggenda e fidanzata globale, le Foxes hanno compiuto un'impresa che è fatta della stessa sostanza dei sogni.


lunedì 2 maggio 2016

domenica 1 maggio 2016

Faccio outing

Senza imbarazzi, nè condizionamenti dell'attualità, visto il duplice annus horribilis e l'ancor più orribile weekend. 


Al link che segue si può leggere il tabellino e vedere il resoconto video "settimana incom" di un'antichissima partita Juventus Milan giocata giusto 62 anni fa, il 2 maggio 1954.
Protagonisti e spettatori sono nella migliore della ipotesi ultraottantenni, eppure per i casi strani della vita nella lontana Udine c'è chi ha un motivo di ricordarla. A casa mia è infatti conservata una ingiallita cartolina illustrata con le foto dei calciatori del Milan (tra cui Nordhal e Liedholm) di allora disposti a mo' di formazione. Sul retro è annotato qualcosa del tipo "2 maggio 1954. Juventus - Milan 1-0. Gol di John Hansen. Il Milan ha giocato meglio ma la Juve ha vinto la partita".


Per farla breve, mio padre allora quattordicenne allievo nel collegio dei padri scolopi di Carcare, condotto in gita dal professore di francese, religioso con fede juventina non meno accesa di quella cattolica, ha avuto in tale partita il suo "battesimo del fuoco", ed ha deciso per un'ingenuità che solo l'età può giustificare di parteggiare da allora per coloro che il fato aveva punito al di là del merito.
Certi eventi lasciano segni non subito riconoscibili, ma i fatti e gli insegnamenti che se ne traggono restano leit-motiv di un'esistenza anche per le generazioni successive (eccomi):
- Il Milan gioca meglio, ma alla fine vince la Juve (diventa poi metafora di vita: non sempre vince chi ha dato di più);
- Meglio guardarsi dai preti;
- Meglio guardarsi dai francesi;
- Francesi e gobbi vanno spesso a braccetto;
In ogni caso, noialtri siamo del Milan da oltre 60 anni. La passione sfrenata per il pallone (il mio primo ricordo in assoluto vede mio padre che mi annuncia l'inizio degli europei 1980) mi è stata trasmessa accanto a questo dato che ha assunto la naturalità del colore degli occhi o del cognome che portiamo.
I casi della vita e della naja hanno poi portato mio padre in questa terra, allontanandolo dalle settimanali frequentazioni di San Siro, allora non compensabili dalla Serie C in cui giocava la squadra locale (per incredibile coincidenza il giorno del matrimonio dei miei si è giocata Udinese-Alessandria 0-1, che visto il risultato non può certo dirsi predittiva dei successivi equilibri domestici).
Quando ho avuto l'età ed il comprendonio per seguire le partite la mia squadra si trovava in serie B e a San Siro vinceva la Cavese; la spilletta che ricevetti in dono con l'invito "la metterai quando vinceremo lo scudetto" la accolsi con lo scetticismo che potrebbe avere oggi un tifoso del Bologna di fronte ad analoga boutade.
Nel frattempo si cominciava a seguire con passione anche la squadra locale tornata da poco nella massima serie, poi addirittura capace di comprare e schierare il Pelè bianco, allora forse numero 1 al mondo. Giusto l'anno prima c'era stato il mio primo di una serie che è giunta a 34 abbonamenti (allora davano un blocchetto con 15 tagliandi che si staccavano partita per partita, prima che si passasse alla scheda perforata, poi al chip). Tifavo per l'udinese 28 partite, come Ciccio per il Catania. Quando c'erano però i colori rossoneri, non resistevo. Una volta, credo fosse il 1990, mi ha pure intervistato per Telefriuli il povero Carlo Casarsa con tanto di sciarpetta rossonera, mentre stavo chiedendo l'autografo a Donadoni, nell'occasione stranamente maleducato, nell'intervallo di una partita.
Il Milan raccolto alle soglie del fallimento da un imprenditore di successo aveva nel frattempo preso a dominare in Italia ed in Europa, ed in un modo che non poteva far presa sull'animo di un ragazzo.
Furono però quei grandi successi, in anni in cui l'Udine si barcamenava fra la A e la B, a instillare i primi dubbi sul mio rapporto con le due squadre. Un rivelatore articolo sul Messaggero nel 1996, all'indomani di Udinese - Inter 0-1 (la partita del centenario decisa da un gol di Sforza, ma ricordata dai tifosi furlans per il fallaccio di Fresi su Stroppa che rinverdì il fantasma di Righetti. Titolo dell'articolo, chissà dove si è cacciato il ritaglio: “Una sconfitta che non cancella un secolo di nobiltà”) mi illuminò sulla particolarità di questa squadra e del rapporto viscerale con il suo popolo, il mio popolo.
Mi accorsi, in breve, che la vittoria di uno scudetto non mi dava la stessa gioia di un pareggio con gol di Goitom al 90°. Una finale di coppa dei campioni vista vincere dal vivo non valeva la gioia della prima vittoria sulla Juve attesa 35 anni (grazie ancora, Oliver!).
"Son passati più di trentanni, quante gioie quanti dolori", dice uno dei nostri cori un po' vintage.
Lo spareggio salvezza con il Brescia a Bologna, in una squadra con Sensini Dell'anno Desideri Balbo e Branca.
La prima europa con la seconda squadra di Zac, inarrivabile condottiero, che fece due mesi di calcio stratosferico, senza dubbio il migliore mai espresso da queste parti. Se ci fossero stati i playoff, non c'era storia. 
L'incredibile terzo posto del 1998. Dopo la gloriosa e sfortunata notte con l'Ajax, a Natale eravamo secondi. Battuta l'Inter di Ronaldo con un gol di Biehroff al 90, quel giorno ci fermammo tutti un bel po' dopo la partita, nessuno voleva lasciare lo stadio. Di quella fantastica annata gli interisti ricordano il fallo di Juliano su Ronaldo, non quello su Pineda la settimana prima in una partita che ci poteva portare a due punti da loro; le discutibili classifiche che vengono fatte al netto degli errori arbitrali lo scudetto lo davano a noi, noi agli Onesti per antonomasia in giacca nerazzurra. A San Siro c'ero quel giorno, per la prima volta vidi la mia squadra giocarsela con il piglio della grande. C'innamoravamo sì, quell'anno al Friuli, e non solo quando segnava il tridente.
La grande cavalcata del Guido nel 1999. Ricostruì la squadra senza il fenomenale fromboliere tedesco e la portò in Europa al termine di uno spareggio che durò 98 minuti, perchè allora si giocava finchè la Juve non segnava. Ancora grande gioco e grande orgoglio di quei ragazzi.
Dopo qualche anno buio, inframezzati da gemme tipo Leverskusen, un altro quarto posto con la squadra di Spalletti. Meno spettacolare, ma tremendamente quadrata e consapevole dei propri mezzi. Champions! Il sogno di essere nell'Europa che conta, concluso malamente con la dolorosissima serata con il Barcellona.
Pochi anni dopo, tornato il nostro più grande allenatore, due straordinarie cavalcate al quarto e terzo posto consecutivo, nel segno di un piccolo grande uomo che ha realizzato il nostro sogno del campione che dice di no alla Juve per sposare la piccola Udinese.
Nel mezzo anche annate anonime, tra cui le orribili ultime due, e tanti momenti in cui la grande e definitiva impresa è stata lì, a portata di mano, che mancava solo quel tiro finito sul palo o bastava scalare meglio una marcatura.
L'essere ad un passo dall'impresa, accarezzarla e sfiorarla per poi mancarla con rimpianto mescolato all'orgoglio di averla avvicinata, ecco, questo è il leit-motiv della storia sportiva dell'Udinese, al pari del suo essere una sorta di piccola nazionale.
In questi 34 anni con la pioggia e con il sole, primi in classifica o a nelle zone basse della B, io c'ero, a sperare nell'impresa possibile ed accarezzare i sogni più improbabili, a gioire quelle volte che andava bene e a soffrire le molte altre. Ho stimato circa 600 partite di campionato, al netto di una quindicina di defaillance dettate da eventi tipo il battesimo di mio figlio o serie indisposizioni, ed un record forse non esclusivo ma bello di aver visto tutte le partite europee casalinghe della mia squadra.
I colori rossoneri li riconosco ancora, come riconosco le mura della casa paterna. Ma quelli della mia Udinese li paragonerei piuttosto ai capelli profumati della donna amata.

E allora da un po' mi unisco anch'io al coro che i nostri ultras hanno mutuato dalla magnifica hinchada del San Lorenzo (...Nosostros no somos Boca ni River Plate):

Bianconero è il mio color
la maglia che porti addosso è la mia passion
Milan Juve e Inter non fan per me
Non tifo per gli squadroni ma tifo te!