Ci ha lasciato Massimo Bordin.
Che dispiacere, che dolore.
Quanta intelligenza, quanta cultura, quanta memoria e conoscenza dei fatti si concentravano in quest'uomo capace di farsi così tanto amare ed apprezzare da così tanti, così diversi.
Nel ricordo che con sincerità e dolore molte fra le persone migliori di questo Paese hanno voluto esprimere brillano i meriti e le qualità dell'uomo e del giornalista.
Soprattutto emerge come Bordin fosse diventato per tutti parte della vita e della giornata, un po' come il caffè alla mattina, all'ora del caffè alla mattina.
Trovata la sua email su una mailing list di radicali, una volta glielo scrissi: l'ascolto di "stampa e regime" è cosa che impatta direttamente sulla mia qualità della vita.
Mi rispose il giorno stesso con il suo garbo:"grazie infinite".
Grazie infinite a te, Massimo
"Quello che ci ha lasciati è un autentico gigante", ha detto giustamente Falconio al termine del funerale laico, lo stesso nel quale Macaluso commosso fino alle lacrime ha altrettanto giustamente urlato il titolo di questo post, e nel quale la compagna Daniela ha trovato il modo di paragonarlo al Funes di Borges, facendo venire i brividi a chi scrive, che (casi della vita!) proprio grazie al racconto su Ireneo Funes conobbe il suo scrittore preferito.
Bene dice Emanuele Macaluso
quando evidenzia che questo è un vero lutto nazionale: che uomo, Massimo Bordin, che perdita per me, per la cultura, per l'Italia.
Bordin è stato un intellettuale originale nell’Italia preda del fanfaronismo, ha titolato Teodori, maestro ed amico. E' stato, prima ancora dell’inventore della originalissima rassegna stampa di Radio Radicale, un autentico intellettuale politico tra i più solidi del nostro tempo. Ma anche il riferimento indispensabile per il mondo della giustizia di cui ha saputo cogliere tutte le sfumature e le declinazioni individuali e procedurali senza timore di essere accomunato alla cultura para-mafiosa dal gruppo che oggi gli ha reso l’onore della armi, accusa che era stata già rivolta a Leonardo Sciascia.
Mattia Feltri, bravo, trova le parole che sanno descrivere la misura della perdita:
Come si spiega a un Paese sperduto e digrignante, sentenziante, famelico di un abracadabra qualunque esso sia, che la vita è politica, e la vita e la politica sono una disastrosa complicazione, una ricerca affannata del pertugio giusto, un errore via l' altro, e non c' è soluzione magica, quella è illusione, roba da fattucchieri? Come glielo si spiega, ora che siamo uno di meno, e quell'uno aveva il calibro di Massimo Bordin?...
Drammatica diventa la domanda: Come si spiega a un Paese sperduto che cosa significa restare saldi nella precarietà del raziocinio?
E' quasi geniale, la "precarietà del raziocinio".
Del resto chi l'ha ispirata Sapeva che la politica non è mai innamorarsi di un' idea, è semmai distaccarsene per valutarla meglio nel momento stesso in cui la si sposa. Sapeva che una società funziona soltanto se il più profondo dei convincimenti si arresta davanti alle barriere che l' uomo si è dato, ad argine dell' arroganza delle proprie verità, a tutela dunque di sé oltre che degli altri, e cioè le regole istituzionali, il rigore dei ruoli di Stato, l'autolimitazione quando si ha la responsabilità di tutti e non soltanto del proprio recinto politico. Sapeva che il consenso non è il fine unico della politica, perché la politica è la capacità di dire quello che si ritiene giusto e non quello che si ritiene gradito: quando il consenso diventa il fine unico della politica, la politica muore.
Personalmente sono convinto che quanto "stampa e regime" gli rendano merito lo "speciale giustizia" e la rubrica "Bordin line" sul Foglio. Era, a mio avviso, il massimo esperto di giustizia di Italia come avverte ancora Feltri: "Sapeva che il diritto, inteso come amministrazione della giustizia, è filosofia, perché ricerca direttamente il cuore dei rapporti umani, arriva a definire l' inviolabile unicità dell' essere umano, anche quando è l' ultimo degli ultimi, cioè il più disprezzabile dei colpevoli, e pertanto il diritto non è mai vendicativo perché, quando produce vendetta, il diritto muore.
In molti evidenziano la concomitanza fra la scomparsa di Bordin ed il momento critico della sua e nostra radio: la sua partenza (di nuovo Macaluso) avviene mentre ci sta un governo, con un presidente del Consiglio, che mostrano di non sapere un bel nulla sulla storia d’Italia e sul ruolo che vi ha assolto sinora Radio Radicale.
Eh già.
Ma come si spiega tutto questo a chi pensa che tutto questo debba misurarsi con l' analisi costi benefici? Che Radio Radicale o si regge sulle sue gambe o chiude? Che sia una questione di mercato? In che lingua glielo si spiega ai nuovi potenti? Noi siamo rimasti aggrappati a Massimo Bordin, a Radio Radicale, a Marco Pannella per decenni, noi radicali, noi liberali di destra e di sinistra, noi socialisti libertari, noi cattolici liberali, noi atei devoti, noi repubblicani, noi laici, noi anarchici, noi poveri apolidi, noi alla ricerca di un posto dove sapere qualche cosa di più, e non di un riparo dove mettere in sicurezza l' ultima confortante ideuzza dell' occasionale maggioranza.
Che uomo, Massimo Bordin, con
quella acribiosa passione per il dettaglio e in quell’inesausto zelo per i particolari, quelli della storia italiana e del suo sistema di partiti, così come quelli delle vicende della criminalità organizzata e dei relativi infiniti processi che ricorda Luigi Manconi.
(Ancora Feltri) Sapeva che tutto è così vano, inutile, e quel pochissimo di concreto su cui ci è dato di sostenerci poggia sulla memoria, sugli archivi, sui libri, su quello che è stato scritto e detto, su quanto l' uomo ha concepito nel disperato tentativo di aiutare l' uomo, e che l' uomo senza memoria è un uomo perduto nel suo vacuo delirio che non ha nulla.
Insieme alla
Rassegna, per chiudere, il grido di dolore di Caiazza:
La notizia della morte di Massimo Bordin ci raggiunge tutti come un doloroso e quasi beffardo monito. Si spegne la voce di un amico innanzitutto, ma poi di un giornalista di rara e raffinata cultura, orgogliosamente libero nel pensiero, irriducibile ad ogni possibile condizionamento politico e culturale, ad ogni tentazione servile o anche solo conformistica, coraggioso nella sua naturale ambizione intellettuale di testimoniare idee, scelte, comportamenti lontani le mille miglia dai rassicuranti e mediocri approdi non del buon senso, ma -come gli avrebbe detto Pannella in quelle leggendarie conversazioni radiofoniche- del becero “senso comune”. Insomma, la voce perfetta, inimitabile e temo irripetibile, di quello splendido patrimonio della nostra cultura e della nostra democrazia che è Radio Radicale.
Vederti morire, Massimo, mentre la Tua Radio è costretta ad ascoltare quotidiani proclami della propria condanna a morte pronunciati con ottusa, tracotante spavalderia da inconsapevoli protagonisti del Nulla, ha il sapore stupefacente di una dolorosa ma forse provvidenziale metafora. Come a darci un motivo in più, una energia inaspettata e formidabile, per pretendere ed ottenere che quella simbiosi inscindibile, splendida e preziosa che vi fu tra Te e Radio Radicale, sopravviva, Ti sopravviva, e Tu con Radio Radicale.
Ti sia lieve la terra, Massimo.